Cyberbullismo, un approccio globale
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Video disponibile: https://youtu.be/5yz3T4jCRjA
La creatività si esprime purtroppo non solo nel bene, ma anche nel male. Molte possono essere perciò le forme di cyberbullismo. Ne racconto alcune, solo per dare un’idea.
Si parla di flaming o di baiting per definire l’offesa pubblica fatta sui social, in gruppi pubblici.
Si parla di harassment quando l’offesa avviene in forma privata, in chat.
Se poi l’offesa privata è continua e finalizzata a tenere costantemente sulle spine la vittima, parliamo di cyberstalking.
Quando si insinuano pettegolezzi che screditano la reputazione di una persona, abbiamo la denigration.
C’è poi il trickery in cui si carpisce la fiducia di una persona in modo da raccoglierne le confidenze,e poi pubblicarle online.
Oppure l’outing in cui il cyberbullo mette online foto, o comunque informazioni, che la vittima mai avrebbe postato, con l’intento di imbarazzarla.
Se si aggredisce fisicamente la vittima e poi si posta il video abbiamo un caso di happy slapping. Se la si mette KO, parliamo di KO game.
Se si crea un profilo fake per inviare messaggi a nome di un altro, si commette impersonation.
E ancora si fa exclusion quando si fa un gruppo Whatsapp deliberatamente senza un compagno, per poterlo deridere.
Catalogare le varie forme di cyberbullismo non è però sufficiente.
Al contrario potrebbe distrarci dal ragionare sulla vera radice del problema, una più generale incapacità di provare empatia e di leggere le proprie emozioni.
Elencare le varie forme possibili può diventare persino una forma di rassicurazione, come se un approccio descrittivo, analitico, potesse essere risolutivo, potesse dominare il problema.
Ma le relazioni umane sono ricche di variabili. Nelle relazioni umane ci sono tante sfumature e un approccio troppo analitico corre il rischio di cercare soluzioni facili, quasi si trattasse di una relazione causa-effetto, di tipo meccanico.
Credo invece ci sia ampio bisogno di un approccio globale, capace di stare nella complessità, di accettarla. È un approccio che abbandona le semplici distinzioni tra vittime e aggressori per suscitare in tutti gli attori coinvolti lo sviluppo di capacità relazionali.
Quando matura in noi la capacità di comprendere ciò che proviamo e ciò che provano gli altri, diventiamo maggiormente capaci di capire come si possa diventare bulli, vittime, spettatori passivi, oppure complici.
È un lavoro che guarda al sistema delle relazioni e che introduce elementi di cambiamento, consapevole che il raggiungimento degli obiettivi non è concretamente misurabile, che l’ascolto delle persone è essenziale, che i tempi possono essere lunghi.
È un lavoro che dovrebbe toccare tutte le agenzie educative, la scuola, la famiglia, gli adulti insegnanti, gli adulti genitori, i giovani, non solo quando capitano i problemi, ma nella normalità per poter veramente acquisire nuove capacità relazionali, nuovi modelli di comportamento.
Grazie allora a chi si interessa, a chi si fa partecipe delle relazioni, a chi misura le parole nella propria giornata.