Adulti riflessivi, adulti ricettivi

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Video disponibile https://youtu.be/xzi4H8ZEcIc

L’adulto può portare al giovane la sua esperienza e con questa lo aiuta a interpretare la vita, sia essa analogica sia essa digitale.

Questo può avvenire a due condizioni.

Prima condizione: che l’adulto si interroghi, si documenti, si interessi rispetto a ciò che non conosce.

Seconda condizione: che l’adulto riesca a raggiungere un poco il bambino e il ragazzo che è stato. Che sia in contatto con le sue esperienze.

La realtà della scuola è spesso un punto di contatto con il nostro io-bambino e può essere molto impegnativo incontrarlo. Può essere impegnativo per il giovane insegnante che vi ritorna in un altro ruolo e soprattutto per il genitore di un bimbo di 6 anni.

L’insegnante è chiamato a elaborare la propria esperienza scolastica per non replicarla senza consapevolezza sui suoi alunni; le esperienze di tirocinio e il lungo percorso verso la stabilità dell’insegnamento non assicurano questa elaborazione purtroppo, ma almeno determinano un avvicinamento graduale.

Il genitore, che spesso non si occupa di scuola, invece vive uno sgomento: mentre porta il proprio figlio, mentre visita la scuola, può sentire emergere in sé il proprio vissuto di bambino, con gioie e dolori. E i dolori dei bambini non sono piccoli per niente.
Celati e sotterrati possono scoppiare se, da adulti, ci troviamo in situazioni che rievocano esperienze antiche della nostra vita. Basti pensare, per esempio, a ciò che ci suscitano le parole dei nostri genitori. Spesso sono bravissimi nello smuovere il nostro mondo emotivo, anche senza volerlo.

Crescere ha messo sulle nostre spalle ruoli e responsabilità. Alcuni ce li siamo scelti, altri si sono rivelati più pesanti del previsto, ad altri ancora forse abbiamo detto sì per sottostare a poteri, forze, dinamiche più grandi di noi.
Se in questo processo, abbandoniamo giustamente aspetti infantili, spesso perdiamo anche semplicità e leggerezza.

Ve lo ricordate il sig. Banks in Mary Poppins? Il film è la parabola della sua riscoperta di sé. Una parabola che gli permette di essere pienamente padre. Da padre rigido e ingessato a uomo che, alla fine del film ha sviluppato una nuova scala di priorità.

Un altro esempio narrativo: il Piccolo Principe.
Il Piccolo Principe muore dopo il morso del serpente — e forse torna magicamente al suo pianeta — perché non si può rimanere bambini, ma il suo sguardo, il suo interrogarsi sulle cose, sulle rose, sulla necessità di mettere la museruola alla pecora, innervano, fanno ormai parte, dell’uomo aviatore che rimane sulla Terra e che conserva con pudore e nostalgia il ricordo di quello strano incontro.

In tutto il libro c’è una dialettica costante tra ciò che i grandi comprendono e ciò che non comprendono più.
È una dialettica che parte dalla dedica del libro, in cui l’autore chiede perdono ai bambini di aver dedicato il libro a una persona grande. E dopo aver addotto varie ragioni, cambia la dedica che alla fine recita così:
“A Leone Werth quando era bambino.”

Il Piccolo Principe è una grande metafora delle maschere degli adulti, che non ne escono bene. Personaggi da operetta, che si illudono di governare mondi.
Rimaniamo allora bambini per sempre? Senza impegni, senza responsabilità? Ma no, il libro non è una celebrazione acritica dell’infanzia.
È una storia, che tenta con poesia e intelligenza di riequilibrare le cose, di farci, contemporaneamente, alzare lo sguardo, verso lo stupore e il mistero e nel frattempo radicarci nella semplicità delle cose.

Per essere non solo adulti ma anche umani.

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Andrea Novella - Proposta Pedagogica
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Pedagogista, propongo spunti di riflessione pedagogica per educare ed educarci, per poter crescere ad ogni età.